Parlo spesso di bici #34
9 marzo 2024. Genere e mobilità. Indipendenza e sicurezza, per chi non è uomo-bianco-etero-cis. Mobilitazioni per dire "Stop al nuovo codice della strage"
L’8 marzo è passato e probabilmente avrete già letto messaggi, post, articoli di ogni tipo sulla Giornata internazionale della donna1*. Sarò quindi poco originale ma voglio condividere qualche spunto di riflessione su come le donne, o meglio chi non è uomo-bianco-etero-cis, si muovono.
È un tema interessante e su cui ho avuto di recente anche l’opportunità di partecipare a un panel di discussione proprio su questo. Vi lascio il video in fondo2 .
Le strade sono progettate per le donne?
Risposta breve: no. Le donne si spostano meno in auto rispetto agli uomini, mentre si muovono di più con mezzi collettivi e a piedi.
La modalità di spostamento che caratterizza molte donne viene definita trip chain ossia “catena di viaggi”, composta da più tappe (ad esempio si accompagnano i bambini a scuola, si va a fare la spesa, c’è la cura degli anziani, poi il lavoro ecc). Questo dipende soprattutto dai motivi per cui ci si sposta: in tutto il mondo il 75% del servizio di cura non retribuito è in capo alle donne3.
Gli uomini preferiscono prendere l’auto e, quando c’è una sola auto in famiglia, tende a essere l’uomo a usarla. L’assenza di infrastrutture per la camminabilità e la ciclabilità – e aggiungiamo anche servizi pubblici non adeguati, funzionali e accessibili – tende a penalizzare di più le donne, alimentando il gender gap.
Anche i dati italiani (Istat 2022) sulle collisioni stradali ci dicono qualcosa su come ci muoviamo e ci comportiamo. Delle 3.159 vittime di incidenti stradali 2.579 erano uomini (81,6%) e 580 donne (18,4%). La distribuzione per genere delle vittime mostra soprattutto una netta maggioranza maschile tra i conducenti: il 90% sono uomini. Tra le proporzioni dei passeggeri c’è invece meno disparità: 56% maschi e 44% femmine.
Questo ci suggerisce due cose: anche in Italia gli uomini usano più l’auto rispetto alle donne e nell’usarla tendono ad avere comportamenti più aggressivi, conseguenza di una progettazione di strade autocentriche, nonché del mito dell’auto potente come status e affermazione del proprio ego e della velocità come valore4.
E a proposito di mascolinità tossica che si ripercuote sul modo in cui si guida e si vive la strada, c’è una toccante campagna francese, promossa dal Governo francese (scusate se lo metto in evidenza) per la sicurezza stradale, circa un anno fa. I dati sull’incidentalità di genere vedono anche in Francia una percentuale maggiore di conducenti uomini.
“È urgente, nel campo della guida, liberare gli uomini dalle aspettative sociali che li incoraggiano ad associare virilità e assunzione di rischi” si legge nella campagna “Velocità, alcol, droghe, stanchezza... e se aggiungessimo la mascolinità all'elenco dei fattori che contribuiscono agli incidenti stradali? La domanda è meno provocatoria di quanto sembri”.
C’è anche un articolo del Guardian che approfondisce il senso di questa campagna.
Insomma, il tema non è stigmatizzare, come ricordano i promotori, ma destrutturare stereotipi che si ripercuotono sulla vita e il benessere delle persone. Anche sulle strade.
Ma la bicicletta?
Potrei semplificare la risposta dicendo che la bicicletta è una delle soluzioni per rendere le strade più sicure dal punto di vista dell’incidentalità, delle aggressioni e dell’autonomia, per le persone che ad oggi sono più vulnerabili, a partire dalle donne e dalle persone non binarie. Le città in cui le donne pedalano in percentuali pari agli uomini, sono città più sicure per tutte e tutti.
La bicicletta offre indipendenza e maggiore sicurezza sulle strade.
Andare in bicicletta non elimina il rischio di aggressioni, ma aumenta l’autonomia e l’indipendenza negli spostamenti. Inoltre più bici ci sono in strada, più aumenta la sicurezza per tutti gli utenti, secondo la teoria del Safety in numbers.
Serve però che le infrastrutture siano pensate per le esigenze di chi pedala, perché la sicurezza dei percorsi (dalla loro illuminazione, alla protezione dal traffico veicolare, alla possibilità di percorrerli con i bambini affianco ecc) è il primo passo per avvicinare più donne alla bicicletta.
Nei giorni scorsi, la London Cycling Campaign ha consegnato una petizione al sindaco di Londra diffondendo alcuni dati sulla ciclabilità e le donne: We want freedom to ride.
A Londra, meno di 1 viaggio in bicicletta su 3 è effettuato da donne, mentre nei Paesi Bassi è più della metà.
Se il contesto londinese è diverso da quello delle nostre città italiane, è interessante notare come l’assenza di infrastrutture adeguate sia il principale ostacolo all’uso della bicicletta ed è altrettanto drammatico che il 93% delle intervistate abbia ricevuto intimidazioni da autisti con il proprio veicolo o che un terzo di loro non pedala di notte perché non ritiene sicure le strade.
Sull’Italia non ho trovato molti dati in merito (ma mi riprometto di cercarne altri). Nel Piano nazionale della mobilità ciclistica ci sono alcuni dati disaggregati per genere che mostrano come, nel periodo di riferimento 2019, gli uomini hanno usato la bicicletta per lavoro in percentuale del 3,7%, mentre le donne al 3,3% (con una percentuale ovviamente di utilizzo generale molto più bassa rispetto agli altri paesi europei).
Su questo tema concludo con una ricerca svolta proprio a Torino da Andrea Rosso, a cui ho avuto il piacere di partecipare come intervistata, che mostra come alcune delle barriere alla mobilità attiva che ho elencato sopra si ritrovino anche in un contesto locale.
Del suo studio, svolto tra marzo 2020 e febbraio 2021 e ne ha scritto anche sul blog di Decisio.
Mentre scrivo mi si aprono un sacco di altre finestre di contenuti che vorrei condividere, soprattutto di proposte per uno sguardo femminista sulla città e sul modo in cui pensiamo e progettiamo gli spazi pubblici. Ma per ora mi fermo qui, con l’idea di trasformare questa newsletter sulla mobilità di genere in una puntata numero 1 e continuare nelle prossime settimane.
In “breve”
Stop al nuovo codice della strage, mobilitazione nazionale di cui ho scritto anche la settimana scorsa. Da oggi al 12 marzo in oltre 40 città ci saranno manifestazioni contro la riforma del codice della strada, che prevede un approccio più repressivo che preventivo nei confronti della mortalità stradale. Vi segnalo l’articolo su Altreconomia. Qui l’elenco delle mobilitazioni in Italia e qui l’approfondimento sul perché questa riforma non va nella giusta direzione.
Fancy women bike ride, missione compiuta: è il progetto nato 11 anni fa per promuovere la ciclabilità tra le donne, con una rete di eventi in giro per il mondo, da un’idea di Pinar Pinzuti, bravissima amica e collega, con Sema Gür. Il movimento internazionale, che negli anni ha coinvolto centinaia di migliaia di donne in oltre 200 città in 30 paesi, si ferma qui e lascia spazio alle iniziative locali. Pinar scrive perché su Bikeitalia. Non è facile lanciare nuove iniziative, è sfidante farle decollare e crescere, ma ancora più difficile è capire quando è il momento di dire “ok, basta così”, perché a volte ci si affeziona all’idea iniziale, ai numeri e all’idea di crescita infinita e si perde di vista l’obiettivo e le risorse che richiede. Quindi complimenti per questo percorso e il lascito e grazie anche per avermi coinvolta: ho avuto il piacere di organizzare la prima edizione torinese nel 2019 e poi conoscere e lasciare il testimone ad altre organizzatrici per altre edizioni successive. Della Fwbr resta l’idea e lo stimolo per inventarsi altre iniziative per avvicinare sempre più persone alla bicicletta. Il contesto sociale e le sensibilità delle varie città nel mondo sono diversi, ci saranno altri colori, nomi e facce nuove, ma resta un obiettivo comune: portare sempre più persone su questo meraviglioso mezzo che è la bicicletta.
Un po’ di storia sul ruolo nell’emancipazione delle donne grazie alla bici in un post delle Cicliste per caso del 2023:
Una bella iniziativa di artiste sull’8 marzo abusivo, segnalatomi da Alessia Iotti, in arte alterales – l’artista attivista per il clima a colpi di fumetto – da diffondere e regalare. L’8 marzo è passato, ma lotto marzo è un po’ tutto l’anno.
Se vi piace viaggiare in bici e scattare foto, il fotografo Edoardo Frezet, alias Cicloreporter, organizza “Fotografia di bici, fotografia in bici” a Torino giovedì 14 marzo. Tutte le info per partecipare qui e qui.
Per questa settimana è tutto, se vi piace e vi è utile questa newsletter, potete mettere un cuore qui sotto, condividerla o inoltrarla a chi volete. E se avete commenti e spunti, potete scrivere qui sotto o rispondermi via email.
Grazie per essere arrivate fin qui!
No, non è una festa e la mimosa ha la dignità di bellissima pianta, non un rametto tristemente reciso per compensare a decenni di disparità sociali ed economiche.
Ne ho parlato recentemente durante il panel organizzato da “Torino città per le donne” per “Women & the city” dello scorso ottobre (sono disponibili i video degli interventi)
“Invisibili” di Caroline Criado-Perez è un’ottima lettura per scoprire quanto, dati alla mano, le donne siano invisibili nel mondo e nel modo in cui lo abbiamo progettato.
Lo ricorda bene in una intervista su Linkiesta Stefano Guarnieri, che nel 2010 ha perso il figlio Lorenzo di 17 anni, ucciso da un uomo in stato di alterazione alla guida di una moto e che insieme ad amici e familiari ha fondato l’Associazione Lorenzo Guarnieri Onlus per contribuire a rendere più sicure le strade di Firenze.